“La pandemia sta influendo drammaticamente sulle vite dei lavoratori dei settori sommersi, fra i quali molti sono migranti e alcune presunte vittime di tratta. Ad esempio sono decine le prostitute che sono precipitate in una situazione di vera e propria indigenza. Per questo essere partner di Per Padova noi ci siamo è fondamentale; ci consente di ricevere e re-distribuire beni essenziali a chi in questo momento non ha alcuna fonte di reddito e non può accedere a forme di sostegno se non quelle della solidarietà”.

E’ l’esordio della lunga chiacchierata con Gaia Borgato e Barbara Maculan, rispettivamente Presidente dell’associazione di volontariato Mimosa e della cooperativa Equality, organizzazioni che da anni lavorano in sinergia nel padovano ed in altre quattro province venete, per l’individuazione e il sostegno alle vittime di tratta e di sfruttamento. 

Proseguono con un’affermazione apparentemente paradossale, ma indicatore di chi, nel fare intervento sociale ed educativo, non smette di riflettere sui processi che mette in campo. “Contemporaneamente l’emergenza causata dal Covid 19 è stata anche un’occasione di crescita per noi volontari ed operatori professionali. Abbiamo dovuto sperimentare nuovi strumenti di intervento e la nostra cassetta degli attrezzi si è arricchita. Perfino la rete che sostiene il nostro intervento si è consolidata, proprio ora che vige l’isolamento forzato”. 

Per chi applica il metodo della riduzione del danno la strada è il luogo dell’aggancio. C’è il primo contatto, si forniscono dispositivi sanitari e preservativi. Poi viene proposto un accompagnamento sanitario, utile soprattutto alle donne immigrate per le quali non è semplice districarsi fra le procedure per ottenere una tessera sanitaria. Non è assistenzialismo, è un percorso verso l’autonomia.

“Ma è soprattutto strategico per stabilire una relazione significativa. Prima di esprimere altri bisogni e fare richieste di aiuto, hanno bisogno di conoscerci. E’ un percorso lungo, il nostro lavoro, che passa per un primo contatto, poi una relazione di fiducia che permette di identificare la presunta vittima di tratta, e che ha come obiettivo finale quello dello sgancio dall’organizzazione criminale, con l’autonomia abitativa e lavorativa”. 

In questi 50 giorni di confinamento nessuno dei servizi di Equality e Mimosa si è fermato; i monitoraggi lungo le strade sono proseguiti ed è così che gli operatori hanno notato che da metà marzo le prostitute erano scomparse dalle strade. 

“Nelle prime settimane di emergenza alcune si erano attrezzate con mascherine; poi non le abbiamo più trovate. Abbiamo messo in campo un’altra strategia, fatta di whatsApp e telefonate. Attraverso l’area Contatto del Progetto N.A.Ve di cui Equality è ente attuatore, abbiamo condiviso informazioni sanitarie per il contenimento del coronavirus, informazioni legali e le indicazioni contenute nei vari DPCM, raggiungendo oltre 350 persone in tutto il Veneto”.

E a fine marzo sono iniziate ad arrivare le richieste di aiuto, sempre più pressanti e drammatiche: alcune non avevano di che mangiare, servivano presidi igienici personali e mancavano soldi per pagare le bollette. In quanto non residenti sono persone che non possono beneficiare dei buoni spesa messi a disposizione dal Governo. 

“Per questo fin da subito è stata fondamentale la collaborazione con il Comune di Padova e il CSV ed essere fra i destinatari di spese sospese di singoli cittadini e di donazioni alimentari da parte di organizzazioni come Coldiretti, ADL Cobas, Cucina Brigante e le ACLI Padova. Quanto raccolto con Per Padova noi ci siamo ci ha permesso di rispondere a bisogni impellenti. Ma non solo: la nostra rete di comunità si è allargata: siamo entrati in relazione con privati cittadini e organizzazioni con cui non avevamo rapporti, proprio nel momento in cui ci veniva chiesto di restare lontani gli uni dagli altri. Per chi fa lavoro sociale è un valore aggiunto”.

Anche la comunità di accoglienza per minori gestita da Equality non ha chiuso. Da subito sono stati riorganizzati gli spazi per rispondere alle esigenze sanitarie, senza intaccare il senso di casa che quel luogo ha per i minori ospiti. “Siamo molto grate ad operatori, educatori e volontari che non solo hanno scelto di proseguire il loro lavoro ma hanno dimostrato grande generosità e responsabilità scegliendo di rimanere in servizio auto isolandosi per ridurre al minimo il rischio di contagio”.

Sono stati donati prodotti alimentari prossimi alla scadenza dalla GDO o da servizi di catering, usati in comunità per preparare i pranzi e che hanno assunto una valenza educativa. “Abbiamo potuto riflettere con le ragazze e ragazzi sul valore del cibo, sull’importanza di non sprecare e sull’impatto ecologico di scelte di questo tipo. La convivenza si è fatta più stretta, gli educatori hanno sperimentato il rapporto qui e ora con ragazze e ragazzi, diventano ancor più di prima punti di riferimento stabili e presenti”.

Abituate da molto tempo a lavorare con equipe miste operatori professionisti e volontari, Equality e Mimosa hanno dimostrato di essere resilienti: “nella condizione di emergenza se esiste una rete fatta di soggetti con ruoli differenti, non si viene travolti e si riesce a mettere in campo risposte tempestive, tanto più utili se rapide e flessibili”.

Una testimonianza di co-progettazione, innovazione e sperimentazione, caratteristiche chiave di qualsiasi processo di sussidiarietà orizzontale che vada ben oltre la ‘sostituzione’ del pubblico. Esempio che come essere solidali durante la crisi da Coronavirus getta le basi per come sarà la società del dopo.