Il 18 giugno in Sala Paladin del Municipio si è tenuto un incontro molto partecipato con Ferruccio de Bortoli, autore del volume “Ci salveremo. Appunti per una riscossa civica” L’appuntamento rappresenta per il Csv di Padova una delle tappe che portano a Padova capitale europea del volontariato 2020.
Di seguito l’intervento di Ferruccio de Bortoli.
«Un aspetto fondamentale del cambiamento della nostra società e della nostra comunità è che ci troviamo nella condizione nella quale il rapporto tra economia e società muta notevolmente e la dicotomia fra Stato e mercato che ha caratterizzato lo sviluppo delle società capitalistiche, viene un po’ meno perché gli Stati non sono in grado di finanziarsi per sostenere i sistemi sociali. Se voi pensate alle prime cento economie del mondo, soltanto 31 sono Stati, le altre sono grandi gruppi.
È di oggi la notizia che Facebook fa la propria valuta e quindi, essendo uno “stato” più importante di tanti altri Stati, non soltanto impone le regole, ma addirittura la propria moneta e la moneta è qualcosa che identifica gli Stati: il monopolio della moneta insieme al monopolio della forza. Allora noi ci avviamo in una prospettiva in cui accanto allo Stato, accanto al mercato (e sui rapporti fra Stato e mercato potremmo ovviamente soffermarci a lungo) ci deve essere una comunità, un terzo polo, fondamentale perché senza una comunità lo Stato non sarà più in grado di provvedere alle necessità dei cittadini.
Noi possiamo pensare che il sistema di welfare sociale possa resistere all’invecchiamento della popolazione? No. E prima o poi ci si troverà di fronte al dilemma etico: “Devo scegliere per assistere oppure no? Si assistono troppo gli anziani e poco i giovani?” Certo, quella idea universale di Stato che, secondo la definizione di Beveridge, si occupa dei suoi abitanti “dalla culla alla tomba”, viene un po’ meno.
Se guardiamo all’economia globale ci accorgiamo che l’Europa così come è concepita, oggi, pur avendo ormai il 5-6 % della popolazione mondiale e il 25% del prodotto interno lordo, gestisce più della metà della spesa del welfare mondiale. Le altre economie non hanno sistemi di welfare, ma il nostro sistema di welfare non sarà più sostenibile perché prima o poi i conti vanno fatti. Non voglio fare polemiche politiche, la situazione attuale è comunque il risultato di fasi storiche avvenute nel tempo, non si può pensare che tutto sia avvenuto negli ultimi mesi e se lo pensiamo non facciamo altro che mentire a noi stessi. Il vincolo di bilancio, ovvero il fatto che non esistono pasti gratis, non dovevamo leggere testi di economia per capirlo: bastava l’economia domestica di casa nostra per capire che si sarebbe trovata nella situazione economica in cui guadagna molto meno di quello che spende.
Non c’è vincolo? No, i vincoli ci sono. E allora Stato-mercato-comunità: questa comunità è fatta di buone relazioni, di volontariato, di persone che si occupano di altre persone, di quelli che hanno più necessità, e in questo devo dire che noi italiani non abbiamo nulla da invidiare agli altri paesi, pur essendo il fenomeno del terzo settore un’invenzione non italiana.
La definizione di terzo settore l’ha data all’inizio degli anni Ottanta l’allora Presidente della Commissione Europea Jacques Delors il quale disse che c’era l’economia privata, l’economia pubblica e il terzo settore, ovvero lo Stato, poi il mercato e il terzo settore che è la comunità.
Gli anglosassoni hanno inventato il no-profit: nei paesi anglosassoni chi dona monetariamente di più –anche questo è un passaggio su cui bisogna riflettere – ottiene riconoscibilità sociale perché nei paesi anglosassoni questa non è data tanto dal potere, dal denaro che uno può avere accumulato nel tempo, ma da quanto fa nei confronti degli altri. Lì passa la riconoscibilità sociale perché questo è un sistema di charity.
Allora, gli anglosassoni hanno questa tradizione, i francesi con Delors hanno introdotto il concetto di terzo settore che noi abbiamo tradotto in una legge che tutto sommato credo sia stata una buona cosa del governo Renzi – Gentiloni, lo dico persino io che non son sempre stato particolarmente a favore e mi auguro che questo governo porti avanti i decreti attuativi.
L’impresa sociale è certamente un luogo nel quale ci può essere la riscossa civica, ma può nascere anche una ripresa economica perché, se voi ci pensate, tutta l’economia digitale è basata sulla condivisione, non sulla proprietà dei mezzi, sulla condivisione dei prodotti e dei servizi e quindi il volontariato è anche terreno di sperimentazione di un’economia condivisa, di un’economia sociale, di un’economia che crea posti di lavoro e crea persino reddito, e di questo dobbiamo renderci conto.
Dicevamo, noi non abbiamo nulla da invidiare agli altri paesi perché è vero che dal punto di vista della relazione monetaria, anche per ragioni fiscali forse diamo meno degli altri, ma dal punto di vista della partecipazione noi dobbiamo constatare che questo è un paese nel quale silenziosamente una grande quantità dei propri abitanti fa ogni giorno qualcosa per gli altri. Questo è un elemento fortemente positivo, del resto abbiamo anche una tradizione, pensiamo alle misericordie medievali.
No profit. Il micro-credito non è tanto un’invenzione del premio nobel Muhammad Yunus, ma è qualcosa che nella storia medievale ha rappresentato la forma attraverso la quale si aiutavano le persone ad uscire da uno stato di povertà. Questo per dire che noi abbiamo un settore particolarmente vasto: nel nostro paese ci sono 340.000 associazioni di volontariato che coprono circa il 6% del Pil e ci sono 6 milioni di persone che sono direttamente o indirettamente coinvolte con le associazioni.
Qual è il problema di fondo? Anche quando si dona e si fa qualcosa per gli altri, l’efficienza non è una variabile secondaria, perché il donatore è come l’azionista di una società e anzi, siccome dona, si aspetta una resa della propria azione volontaria, si aspetta un rendimento superiore al proprio investimento monetario, per cui il fatto che non ci siano sinergie o ce ne siano poche tra le tante associazioni di volontariato – questo è un tema che doveste toccare nel 2020 – e che non ci sia una preparazione anche professionale nel gestire la solidarietà: perché gestirla è come gestire un’azienda e il fine non giustifica lo spreco dei mezzi.
E’ un tema che il mondo cattolico non vuole sentirsi dire. E invece dovrebbe, perché non è possibile che ci siano stati tanti fallimenti di malversazioni in tanti istituti cattolici, non è possibile che ci sia una concentrazione patologica di gestione di questo tipo. È un lavoro che richiede competenze, professionalità, accountability – devo rendere conto di quello che faccio – non è che perché sono talmente bravo che riesco a salvare delle persone questo giustifica gli sprechi che ho realizzato e se realizzo degli sprechi vuol dire che ho negato l’assistenza ad altre persone che avevano bisogno. Questo concetto purtroppo non passa e invece io penso che se ci fosse uno scatto di trasparenza e rendicontazione potrebbe essere un modo attraverso il quale la produttività del bene potrebbe diffondersi alla società tutta ed essere un esempio particolarmente positivo di come si possa crescere non soltanto economicamente ma anche moralmente.
Il titolo del libro “Ci salveremo” non ha il punto di domanda perché darebbe l’idea di posizioni confuse se non deboli. Sono convinto che se noi facciamo leva sui nostri primati – uno dei difetti di noi italiani è quello di non essere consapevoli non solo delle ricchezze italiane ma anche dei primati dell’industria della ricerca abbiamo tantissime eccellenze di cui andare fieri -, abbiamo anche il difetto di descriverci molto peggio di quanto non ci descrivano e non ci giudichino gli altri. Questo è un difetto che possiamo riscontrare a tutte le latitudini del nostro paese: esso è una declinazione del regno dei furbi in quanto, descrivendo male il proprio paese, si esalta la propria opinione personale, la propria azienda, la propria categoria “siamo così bravi nonostante tutto ciò che ci sta intorno”.
Ci salveremo se avremo un senso civico più elevato banalmente anche nel rispetto del decoro dei beni comuni, nel fatto che le strade non siano piene di rifiuti. Pensiamo ad uno straniero che arriva e vede una strada piena di rifiuti: ritiene che gli abitanti di quella città siano sporchi. Faremo anche noi lo stesso ragionamento e non possiamo usare la scusa “io ho pagato le tasse, la TARI,”. Sapete qual è il tasso di evasione della TARI a Roma? 60 %. Allora evidentemente riguarda le società civili, le comunità. Poi sarà colpa della politica, sarà colpa del sindaco? Secondo me si finisce anche per dare così tanta responsabilità ai sindaci e all’amministrazione che ovviamente fanno quel che possono, ma poi qualcuno li avrà pure eletti, no?
I sindaci tra l’altro sono le persone che hanno più contatto con gli abitanti, e la legge sull’elezione dei sindaci, secondo me, è quella che funziona meglio. Se il doppio mandato fosse stato posto come limite anche in alcune Regioni non sarebbe stato un fatto positivo? Non mi riferisco al Veneto, ma alla Lombardia perché dopo il terzo, quarto mandato le condizioni cambiano anche nelle aziende per quanto riguarda gli amministratori delegati; quando uno gestisce per 20 anni una banca evidentemente è chiaro che dopo un certo periodo certe cose non le vede più, no? Così anche il passaggio del testimone in azienda dovrebbe avvenire per tempo: essendo tanto ingombrante potrebbe schiacciare l’erede tardivo.
Ci salveremo quando riusciremo a rilanciare il senso comune, il senso civico, il rispetto per le regole.
Il tema dell’immigrazione è un tema spinoso che va regolato nel rispetto delle leggi. Ad esempio il nuovo governo social democratico danese ha vinto le elezioni con una posizione molto più dura e severa sull’immigrazione rispetto a quella dei suoi avversari, preoccupandosi di integrare meglio le persone che già c’erano senza porsi il problema di gestire nuovi flussi: questo è significativo dal punto di vista politico.
Ma noi italiani come possiamo pensare se non rispettiamo le leggi che ci siamo dati, come possiamo pensare che gli immigrati possano essere più rispettosi delle leggi che noi non osserviamo? La doverosa integrazione dei migranti porta ad una società multietnica, la risposta “prima gli italiani” non regge nel momento in cui gli italiani non fanno più figli, ecco che saranno secondi.
Nei prossimi anni perderemo 6 milioni di italiani nella fascia di età 20-65 anni a causa del tasso di natalità troppo basso. Vogliamo favorire i tassi di natalità? Vogliamo smettere di mettere le donne nella condizione di dover scegliere tra lavoro e famiglia? Questo è un fatto positivo se lo volessimo. Si tratta un passaggio importante che riguardo la tenuta della società, il senso civico, la legalità e la responsabilità nei confronti delle prossime generazioni.
Purtroppo noi dobbiamo dircelo con molta sincerità che forse i nostri figli rischiano di essere prigionieri dei padri, ogni generazione deve badare alle proprie spese. Le generazioni che ci hanno preceduto non hanno solo badato alle loro spese, hanno fatto sacrifici per farci studiare, non conoscevano il sabato e la domenica, non conoscevano i diritti ma avevano una speranza nel futuro che era direttamente proporzionale al loro senso del sacrificio, e quando si parla di memoria al di là del fatto che dobbiamo ricordarci che la pace e la democrazia non sono due stati naturali della società e delle storia anzi sono delle situazioni minoritarie, quasi delle eccezione, la memoria della quale ci cui dovremmo avere maggiore cura è di quando si era poveri, non si aveva molto da mangiare, non si sprecava nulla e però si aveva una grande voglia di guardare al futuro.
Quella che manca oggi è la voglia futuro e anche la consapevolezza che questo futuro se vogliamo ce lo possiamo conquistare per noi stessi ma anche per i nostri figli, altrimenti i nostri figli dovranno vedersela con i nostri debiti e credo che non sarà una condizione particolarmente felice».
Trascrizione di Francesca Barison
Revisione di Donatella Gasperi