Abbiamo inaugurato il percorso di Padova capitale europea del volontariato all’insegna di uno slogan, “ricuciamo insieme l’Italia”, ispirato dal discorso di fine anno del 2018 del Presidente della Repubblica. Rivolgendosi al volontariato l’aveva infatti descritto come “l’Italia che ricuce”, e ci sembrava la perfetta metafora per dichiarare la missione che ci eravamo dati per il 2020: far emergere dal mondo della solidarietà organizzata un contributo alla riconnessione di mondi e realtà diverse, che condividono però la stessa casa comune e quindi la responsabilità di prendersene cura.

Il Presidente Mattarella era presente il 7 febbraio 2020, all’inaugurazione di Padova capitale e ha ricevuto l’abbraccio di oltre 5.000 volontari e volontarie. Si è rivolto alla platea ricordando che il volontariato è una forza irrinunciabile per lo sviluppo inclusivo della società e ha richiamato la politica ad un’attenta valorizzazione e promozione del terzo settore. Qualche giorno dopo, con l’esplodere della pandemia, tutti hanno potuto constatare quanto fossero profondamente vere quelle parole. Sia perché per settimane, mesi, è stato il volontariato a farsi carico delle vecchie e nuove fragilità del Paese, e dove non arrivavano né i servizi pubblici, né le reti familiari e amicali, lì c’erano centinaia di migliaia di volontari e volontarie pronti a fare la propria parte, sia perché ancora una volta la politica nazionale è sembrata ripetutamente dimenticarsi di questa “forza irrinunciabile”, nei DPCM che regolavano gli spostamenti come nelle misure di sostegno economico.

Oggi, a distanza di un anno, è ancora il nostro Presidente ad avere sulle spalle la responsabilità di guidare il Paese e tracciare la strada da seguire insieme. Ci richiama alla solidarietà e all’impegno, ci richiama al “tempo dei costruttori”. Dopo quello che abbiamo vissuto, la sfida è ancora più alta: non si tratta più di “ricucire” e mettere insieme i pezzi, qui dobbiamo costruire qualcosa di nuovo, un nuovo modo di considerarci comunità. Come dargli torto, di fronte alle contraddizioni del sistema sociale, politico ed economico italiano e alle fragilità della sua classe dirigente…

Immediatamente molti hanno risposto all’appello, nel giro di pochissimo tempo siamo diventati un Paese di “costruttori”. Peccato che in tutta questa smania di costruire, non ci si sia posti – salvo rare e perciò ancora più apprezzabili occasioni – due semplici domande: COSA e COME costruiamo? Come ci immaginiamo la “comunità che verrà” e quali sono le priorità e i passi da fare? L’unica questione rilevante per la classe politica è sembrata essere il CON CHI costruire, inteso però come “con chi dividere le luci della ribalta e decidere la distribuzione delle poste in gioco?”.

È la stessa dinamica a cui stiamo assistendo per il piano del “Next Generation EU”, per il quale c’è la sensazione di importanti investimenti verticali su singoli settori e su singoli capitoli di spesa, ma si fatica a scorgere un piano vero e proprio, un quadro coerente che dica al Paese quali siano gli obiettivi e come si intende raggiungerli. D’altronde la chiamata ai costruttori coincide con una disponibilità di fondi mai vista prima, ed è naturale che i due temi si intreccino e si confondano, contribuendo ad evidenziare ancora più chiaramente quanto sia corto lo sguardo di chi dovrebbe darci la rotta.

E questo nelle ore più buie ed incerte della nostra storia recente, nell’imminenza di tempi difficilissimi e ricadute gravi per la tenuta del nostro tessuto sociale.

Come ho già avuto modo di dire su vita.it, lungi da me pensare che il volontariato sia la soluzione: non saranno eserciti di anime candide a salvarci dal tracollo, dev’essere la comunità tutta a prendersi sulle spalle la responsabilità del domani. Per questo sono altrettanto convinto che osservare cosa è successo qui a Padova, che del volontariato è stata per un anno la capitale europea, possa dare innumerevoli e preziosi spunti per delineare la strada da seguire.

Con tutta l’umiltà del caso, ma consapevole di essere animatore di un laboratorio sperimentale di innovazione sociale, il volontariato padovano ci lascia alcuni appunti per una storia da scrivere a molte più mani.

Ci ricorda per esempio che i primi mattoni dello Stato sono le nostre città, i nostri quartieri, i nostri comuni, e quindi per costruire qualcosa di nuovo si deve recuperare lo spazio del borgo e facilitare le dinamiche di solidarietà locale. Tra la singola concreta azione solidale e le astratte misure nazionali/regionali c’è un livello di mezzo dove i gruppi si coordinano, le sinergie riescono, i corpi intermedi collaborano. Dove, nonostante la fatica che richiede, la cooperazione tra soggetti diversi è possibile ed è in grado di alimentare fiducia.

Ci dice anche che c’è un patrimonio straordinario di disponibilità, c’è un volontariato generoso che si manifesta in modi sempre meno strutturati e che forse si è ulteriormente allontanato dalle forme associative per effetto degli eccessi burocratici della riforma del Terzo Settore. Questa disponibilità va colta e organizzata, va accompagnata per non essere dispersa, va fatta crescere.

L’esperienza padovana ci mostra poi che c’è un grande bisogno di luoghi di confronto e collaborazione. Non social-network o gruppetti di discussione, ma spazi in cui persone di diversa estrazione, con diversi percorsi alle spalle ed espressione dei tanti mondi che compongono una comunità, trovano possibilità di dialogo strutturato sui temi che riguardano il futuro di tutti. Non i soliti tavoli cerimoniosi e formali, ma laboratori dove portare alla luce i bisogni, prenderne consapevolezza, studiare insieme le possibili soluzioni, mettere in pratica progetti condivisi con un genuino approccio di comunità.

Un’altra consapevolezza che ci lascia l’esperienza dell’ultimo anno è che dobbiamo adottare un approccio sempre più orientato all’impatto e alla generatività. Non ci possiamo più accontentare di misurare le “cose fatte” grazie ad un’iniziativa o ad un progetto, dobbiamo essere in grado di misurarne le ricadute ambientali, sociali, economiche e culturali, sia dirette che indirette, nel breve, medio e lungo periodo, e sulla base di quelle apportare aggiustamenti o cambi di rotta. In questo è fondamentale un patto di alleanza con il mondo dell’Università e della ricerca, ma è altrettanto fondamentale una piena consapevolezza di tutti in merito alla rilevanza di questo aspetto.

Il volontariato ci ha ricordato anche che nelle dinamiche sociali va recuperata una certa dose di mitezza, quella “ferma” mitezza descritta anni fa dal grande – e ogni giorno compianto – Norberto Bobbio. Il volontariato, per la sua fluidità, per la sua atavica mancanza di mezzi e risorse, per la sua essenza fondata sulla libertà di singoli gesti di altruismo e di singole disponibilità delle persone, è un mondo fragile, ma riesce a fare di questa fragilità un elemento di forza perché costruisce alleanze di senso con gli altri attori sociali. Avanza le proprie proposte di valore con la mitezza di chi si riconosce parte di un tutto molto più vasto, e questo può essere uno spunto utile per la nostra classe dirigente: il tempo dei costruttori non è un tempo di eroi impavidi e sprezzanti, è un tempo di eroi miti.

Tirando le somme, la strada indicata dal volontariato e da Padova suo laboratorio europeo forse ci può dare qualche risposta su quel COSA e su quel COME da cui siamo partiti: la “costruzione” richiede di destinare risorse all’attivazione di enti/soggetti su scala locale, che siano in grado di favorire e facilitare la collaborazione tra pubblico, privato e corpi intermedi, che investano in percorsi generativi orientati all’impatto e che siano in grado di raccogliere e coltivare il patrimonio di solidarietà già oggi esistente. E che siano in rete con le sperimentazioni degli altri territori, fino a connettere una comunità di pratiche grande come l’Italia intera.

Niccolò Gennaro, direttore CSV di Padova e Rovigo