Articolo di Il Sole 24 Ore.com di Marco Piccolo.
Il volontariato è da tempo considerato un indicatore importante del livello di sviluppo, benessere e coesione sociale di un territorio e questo è uno dei motivi che ha portato a designare l’Italia, con Padova, Capitale europea del volontariato 2020. Prendersi cura degli altri, della comunità, del bene comune è considerato encomiabile, anche se rimane il sospetto che questo riconoscimento non vada a toccare i fondamentali di una società. Se però utilizzassimo questo questo agire in modo generoso nel contesto umano ed ambientale come chiave di lettura per interpretare la crisi del Covid-19, forse a più di qualcuno potrebbe venire il dubbio sull’adeguatezza del paradigma che orienta il pensiero occidentale per affrontare non solo il presente, ma anche il futuro. Le varie crisi che abbiamo visto negli ultimi anni, indipendentemente dal fatto che siano sanitarie, sociali, economico/finanziarie e ambientali, e che sono talmente interconnesse che potremmo tranquillamente parlare di effetto domino, è che il tipo di vita cui aspirerebbe la maggior parte di noi non sarà più possibile se continueremo a utilizzare le stesse categorie e le stesse chiavi di lettura che di fatto ci hanno portato a questa situazione. Così come nella Laudato Sii, Papa Francesco parlando di ecologia integrale ci ricorda quanto la dimensione sociale sia strettamente connessa con la dimensione ambientale, allo stesso modo la ricerca del bene comune ci fa comprendere come all’interno delle nostre società questo obiettivo possa essere realizzato soltanto se tutti gli attori che animano il territorio (profit, non-profit, soggetti pubblici) sono consapevoli della loro interdipendenza e complementarietà.
C’è un filo conduttore comune tra l’ “I care” di chi oggi si prende cura della comunità e quel prendersi cura della casa e delle sue risorse a cui faceva riferimento Aristotele quando parlava di economia. Probabilmente bisogna rompere gli schemi, e le crisi in questo senso ci aiutano in maniera potente, e provare a ricreare un nuovo paradigma che, partendo proprio da questo denominatore comune che è il prendersi cura, offra un nuovo orizzonte di riferimento in cui l’io e il noi non si contrappongo, ma innescano una reazione in grado di valorizzare sia la creatività del singolo sia quel gioco di squadra necessario per individuare soluzioni che tengano conto del bene di tutti e di ciascuno. Perché questo approccio, deve però toccare tutti gli ambiti in cui si sviluppa la dimensione umana: dalla vita lavorativa a quella di relazione, dalla realtà socio culturale a quella politica, annullando quella schizofrenia dei valori vissuti “a singhiozzo”.
Il nuovo paradigma dovrebbe ricomprendere alcuni criteri e valori di riferimento che già oggi caratterizzano le migliori pratiche di bene comune. Come il valore della relazione necessario per creare coesione sociale e senso di sicurezza nelle persone. Curare le relazioni consente di sviluppare i rapporti tra i soggetti della comunità, rafforzando i legami di fiducia, onestà e solidarietà e favorendo i comportamenti altruistici. La pratica della relazione permette di maturare un altro criterio, quello della reciprocità, ossia una più matura sinergia tra persone e organizzazioni che vivono e operano in un dato territorio e che permette di generare scambi sia a carattere contrattuale sia di gratuità. Un terzo criterio, anch’esso fortemente legato allo sviluppo dei rapporti di fiducia e scambio all’interno di una comunità, è quello della legalità, intesa non soltanto come conformità alle norme, ma anche come corresponsabilità rispetto agli impatti sociali e ambientali della propria attività sulla vita di tutti. Lo sviluppo di questo contesto può rendere le comunità terreno fertile per l’innovazione dei servizi o del sistema economico, ma anche per una vera e propria evoluzione sociale della comunità, capace sia di arricchirsi internamente alle singole organizzazioni, pubbliche o private, sia di ideare strumenti di mutualità nei quali gli attori economici e sociali possano stabilire forme di collaborazione sempre più evolute.Questi valori innescano i processi generativi della dimensione comunitaria, basata su una interdipendenza positiva tra tutti i suoi soggetti che sentono fortemente una “responsabilità sociale di territorio”, nella quale si valorizza il contributo di ciascuno alla creazione di valore (ogni soggetto è portatore di capitale civile) e lo si riconosce anche attraverso una equa partecipazione ai benefici (profitto sociale) in un’ottica di valore condiviso.
Torniamo alla pandemia e proviamo a immaginare come si sarebbe potuta gestire questa situazione se il cittadino, l’amministratore pubblico, l’imprenditore, il lavoratore, il politico avessero fatto propri i valori di questo nuovo paradigma, fondato sul prendersi cura, agendo di conseguenza. Proviamo a immaginare l’efficacia delle nostre azioni se il sistema pubblico, il mondo economico e finanziario, la società civile, in una logica di reciprocità e di responsabilità avessero saputo unire i loro sforzi. Qualcuno pensa che queste soluzioni esistano soltanto nel mondo delle favole eppure, anche oggi, anche in mezzo a questa crisi disarticolata, il volontariato offre una rete di protezione sociale insostituibile: estendere la logica della responsabilità sociale di territorio potrebbe essere un’opportunità e non un’utopia.
Marco Piccolo è uno dei fondatori di Banca Etica, è presidente della Fondazione Finanza Etica ed è coordinatore del Tavolo Economia e sviluppo sostenibile di Padova Capitale Europea del Volontariato 2020