Qual è la spinta che consente ad una Comunità di generare coesione sociale?
Qual è il contributo e l’orientamento che i cittadini offrono?

A domande come queste risponde Hyperion, l’Osservatorio della coesione sociale in assetti emergenziali dell’Università di Padova diretto dal professor Gian Pietro Turchi.

Dalla metà di aprile Hyperion sta conducendo un’analisi sulle modalità con cui la Comunità interagisce nell’emergenza sanitaria Covid-19 e  sta costruendo un database di testi prodotti dai cittadini e dalle Istituzioni in Veneto, raccolti tramite social network e articoli di giornale che, analizzati settimanalmente, danno il grado di coesione sociale.
Nella settimana dal’11 al 14 ottobre, per esempio, l’Osservatorio ha rilevato un incremento del grado di coesione sociale che si attesta su un valore di 10,23 su una scala 0-20.

«Dai dati testuali analizzati dall’Osservatorio emerge che una parte della cittadinanza della Regione Veneto si è resa risorsa attiva nel perseguimento dell’obiettivo di riduzione del contagio… e il grado di coesione sociale, dopo quattro mesi, si è attestato su un valore superiore a quello mediano di 10. Tuttavia non ci sono ancora le condizioni di mantenere stabile tale grado, in quanto un’altra parte considerevole della Comunità della Regione Veneto promuove frammentazione nel domandarsi e nel proporre di individuare, quali siano i colpevoli dell’incremento della curva del contagio…»

si legge nel rapporto.

Professor Turchi, la vostra analisi ci consente di capire a che punto siamo come comunità?

«La comunità è immediatamente sensibile al linguaggio e noi analizziamo i testi dei mass media e dei social disponibili. Analizziamo decine di migliaia di testi grazie a una metodologia che ce lo consente, e oggi vediamo la comunità divisa in due frange: un terzo dice facciamo quello che serve fare perché ha come obiettivo comune la riduzione del contagio mentre altri due terzi hanno un orientamento completamente diverso e creano contrapposizione con una parte della comunità cercando un “colpevole”; di questi una grossa parte comincia a prendere un orientamento che vede arrivare la dittatura sanitaria: basta con questa situazione, non possiamo sempre stare attenti, consideriamo i bisogni della famiglia e del lavoro, non possiamo stare solo attenti all’aspetto sanitario: Un elemento questo che dovrebbe essere preso in considerazione sia dalla politica che dagli stessi sanitari che continuano a battere solo su questo tasto: sanità, lockdown, stiamo fermi, etc, che sta creando un’insofferenza anche nei confronti degli esperti. Noi in questi mesi abbiamo visto tutti questi passaggi, ma non siano stati ascoltati. Sono considerati solo gli esperti sanitari che ora sono in disaccordo e questo crea sconcerto e frammentazione nella comunità. Vediamo che i cittadini ora scendono in piazza perché sono provati dalla situazione: sono casi isolati, ma c’è il rischio
che diventi più forte».

La salute è considerata meno importante?

«Non viene sottovalutata, ma emerge il pensiero che “servono anche altri aspetti” e la comunità chiede di considerare il lavoro, gli esercizi commerciali, le relazioni tra le famiglie: dateci indicazioni più precise rispetto a questo. Emergono le posizioni personali e per affrontare i problemi si dice: non mi date indicazioni, faccio come credo».

Siamo sottovalutati come cittadini?

«È quanto sta emergendo e non solo da adesso. Questa comunità non è stata educata a gestire la pandemia; sono state date delle indicazioni molto ferme, molto precise, che nella prima fase potevano essere utili perché era una fase di effettiva emergenza, ma adesso i cittadini si sono fatti delle idee, delle opinioni e chiedono altro. Questo è quello che dicono i cittadini. Nel momento del lockdown l’Osservatorio ha registrato il più alto valore di coesione sociale, più alto anche di quello di prima della pandemia. La comunità era fortemente orientata all’obiettivo».

C’è l’impressione che non sia stato fatto nulla durante l’estate?

«Questo elemento non compare. Una parte dei due terzi che cerca la contrapposizione dice “non possiamo subire perché qualcuno ha fatto vacanza”, ma il pensiero generale è: siamo in una situazione pandemica mondiale e non possiamo pretendere che in due mesi si risolva».

Come legge la situazione dal suo Osservatorio?

«Tutte le settimane sforniamo dati, diciamo attenti a questo, attenti a quello ma il nostro lavoro non viene preso in considerazione. Però non possiamo affidare il contenimento della situazione alla truppe antisommossa. Pensiano ai sanitari: erano eroi e ora il rischio che il sistema sanitario diventi il nemico, venga vissuto in contrapposizione. Occorre rafforzare la comunicazione sui lavoratori nella sanità che son tornati a fare i doppi turni, dormono in ospedale, restano ore e ore in ambulanza. Tutto questo oggi è trascurato, non è più un valore condiviso e la comunità non ha più la capacità di valutare cosa sta succedendo. Nasce la polemica contro gli esperti che sono in disaccordo tra loro e quindi il singolo pensa: faccio la mia valutazione, di cosa serve a me, e mi muovo di conseguenza. Ma in situazione di emergenza se uno si muove solo individualmente diventa un dramma. Occorre usare bene le parole; i sanitari dicono “guerra” e “coprifuoco” ma queste
parole non aiutano ad orientarsi verso lo stesso obiettivo. Anche sui giornali non è il titolo in sé che va considerato, ma il suo riverbero sulla comunità».

È possibile dare un contributo alla ricerca dell’Osservatorio Hyperion:

«Si chiede ad ogni singolo cittadino di rispondere alla domanda seguente: qual è, secondo voi, l’obiettivo comune che la Comunità della Regione Veneto è utile che persegua nei prossimi mesi (almeno fino alla fine dell’anno)? Rispondete a questo link. I riscontri che HYPERION riceverà dai cittadini potranno rendere più precisa l’anticipazione sull’andamento della coesione sociale rispetto ad un tempo t2 futuro».

Donatella Gasperi