Tra le tante cose che questo periodo mi sollecita a pensare, una in particolare mi torna spesso in mente. Ed è il ruolo delle organizzazioni – di ogni tipo – in riferimento alle persone che le animano e al contesto in cui agiscono. Una riflessione che faccio in riferimento al CSV, a noi come staff e all’insieme dei collaboratori, ma che poi mi viene da allargare alle associazioni, ai nostri partner, alle istituzioni locali, ai tanti soggetti del territorio e alle istituzioni nazionali e internazionali.
Tendenzialmente, gli approcci organizzativi si dividono secondo tre direttrici: risultati, processi, persone. In molte organizzazioni, sia nel profit che nel non profit, l’orientamento prevalente è quello al risultato. Per queste organizzazioni, quello che conta principalmente è il prodotto finale, sia esso un servizio erogato, un bene tangibile o un obiettivo economico. Altre organizzazioni danno centralità al processo, ovvero all’iter da seguire, al rispetto dei ruoli e alla correttezza dei passaggi. Altre ancora hanno le persone come fulcro (sono people-oriented, all’americana) e sono focalizzate nel creare le migliori condizioni affinché le collaboratrici e i collaboratori siano soddisfatti del loro posto di lavoro – o del loro ruolo di volontari – e stimolati a dare sempre il massimo in un contesto positivo, accogliente e ricettivo.
Le tre direttrici, sommariamente descritte, sono da intendersi come elementi indicativi e approssimativi, non in grado di descrivere la complessità delle dinamiche, ma utili a identificare una certa propensione organizzativa.
Ognuna ha i suoi pro e i suoi contro, e convivono contemporaneamente in ogni organizzazione. Normalmente si ritiene vincente quella organizzazione che riesce a mantenere un giusto equilibrio tra le tre tendenze, ottenendo buone performance, in un quadro organizzativo e gestionale chiaro e solido, attraverso l’apporto di persone felici e motivate.
Ciò non basta più. Non bastava già da molto tempo, prima dell’emergenza Coronavirus, ma il contesto emergenziale porta alla ribalta la necessità di superare le resistenze al cambiamento, personali e organizzative, per integrare nel DNA delle organizzazioni almeno altri due elementi che mi sembrano fondamentali: i valori e il contesto.
I valori, spesso, sono stati derubricati a dichiarazioni d’intenti, sia nel profit che nel non profit. Utilizzati per il marketing o per elaborare gli scopi statutari, messi in risalto nelle comunicazioni istituzionali e promozionali, richiamati in ogni descrizione delle attività, ma raramente vissuti come elemento vitale, di orientamento e di scelta all’interno delle organizzazioni. Ovviamente molte realtà si distinguono e anche questa è una generalizzazione sommaria, ma penso che l’emergenza che stiamo attraversando abbia fatto emergere chiaramente la peculiarità di quelle organizzazioni che, orientate a valori forti e condivisi, hanno saputo immediatamente ri-declinare ed adattare il loro agire in un contesto così mutato. Avere una grammatica valoriale comune, che non deve mai essere data per certa e definitiva ma anzi continuamente ridiscussa perché sia viva e condivisa, permette di avere una matrice di riferimento riconosciuta all’interno dell’organizzazione e di allenare una resilienza che non sia semplicemente “adattamento” e diventi “sviluppo” in un contesto entropico. Per fare questo, i valori non vanno mai dati per scontati o acquisiti, non servono per essere sbandierati, non sono parole d’ordine. Dovrebbero anzi essere materia viva, che alimenta la vitalità organizzativa. Dal livello della più piccola associazione fino alle comunità-Paese, alle comunità-Continente e alla comunità umana.
Il contesto, invece, non può essere semplicemente l’insieme degli stakeholder funzionali al raggiungimento degli scopi organizzativi. Ciò che sapevamo da tempo ma che forse stiamo imparando solo oggi, è che le organizzazioni non sono monadi, al contrario sono entità porose e simbiotiche con ciò che le circonda. I volontari, o i lavoratori, sono persone che vivono nella comunità e che nella comunità hanno altri ruoli sociali. Sono figli, sorelle, genitori, hanno relazioni e interessi, si ammalano, accudiscono, si muovono nello spazio-comunità con una identità fluida e non catalogabile secondo il loro ruolo in una singola organizzazione. La comunità quindi non può non essere contemplata nelle scelte e nelle azioni che un’organizzazione compie, e non può avere un ruolo ancillare: la comunità va ascoltata, in una relazione di reciprocità orizzontale dove il riconoscimento dell’interdipendenza serva ad orientare le scelte strategiche e le modalità di azione.
Oltre alla comunità, che per semplificazione siamo portati a ricondurre alla comunità di individui che abitano un certo territorio e all’insieme di organizzazioni che su quel territorio agiscono, il contesto comprende anche altri elementi, anch’essi oggi più che mai da ricomprendere autenticamente nelle contaminazioni necessarie per orientare le scelte organizzative. Ad esempio l’ambiente, ovvero l’aria, l’acqua, il verde, gli altri esseri viventi. Il paesaggio, frutto della relazione tra comunità e ambiente. Le persone migranti, e addirittura i turisti, che quel contesto attraversano anche solo occasionalmente. E qualcosa di più impercettibile, come le regole – continuamente mutevoli ma relativamente stabili sul lungo periodo – che regolano le relazioni all’interno di un determinato contesto, le risorse educative, le dinamiche economiche, gli snodi comunicativi… Lo sguardo di un’organizzazione non può più fare a meno di cogliere tutti questi elementi che chiamiamo “contesto”, in una continua tensione inclusiva, di apprendimento e di collaborazione.
Quali valori e quale contesto in una capitale europea del volontariato? Lo sguardo non può che essere alto. Alimentato dalla partecipazione e dall’inclusione della comunità padovana, ma guardando alla stessa tenendo bene in mente delle cornici più globali. Sul fronte dei valori, si va dalla carta dei valori del volontariato, passando per la carta costituzionale, fino alla CEDU e alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. In tema di contesto, tenendo come riferimento le comunità locali d’Italia, d’Europa e del mondo. Per una replicabilità di ciò che si sperimenta qui come declinazione di valori universali e di modalità organizzative e relazionali che, oltre al risultato, al processo e alle persone, siano in grado di integrare nel loro “essere e agire” una profonda riflessione sui valori e un coraggioso approccio inclusivo del contesto in tutte le sue forme.
E dopo? Per il CSV? Come continuare? Come ri-organizzarsi? Esattamente sulla stessa strada.
Niccolò Gennaro – Direttore Centro Servizi Volontariato di Padova.