La gratuità può fare impresa? Il dono può aiutare a disegnare nuovi modelli economici, più inclusivi, solidali, equi?
Se n’è discusso mercoledì 1 luglio con l’economista Luigino Bruni nella prima delle nove puntate del ciclo dal titolo La generosità come motore d’impresa che ogni mese Vita e il Comitato di Padova Capitale europea del volontariato 2020, insieme al CSV di Padova, proporranno in live streaming sui canali social delle due organizzazioni, nell’ambito del percorso Ripensiamo insieme l’Italia, alla ricerca di un nuovo lessico per capire il nostro essere oggi volontari e cittadini in questa #fase2 post Covid-19.
«Dobbiamo stare attenti, perché la logica del dono si muove su un crinale ambiguo», ha spiegato il professor Luigino Bruni, ospite con Emanuele Alecci e Riccardo Bonacina, dell’incontro di inizio mese. «La vera gratuità, implicata dal dono, non è una gratuità mordi e fuggi», ha continuato l’economista, tra i fondatori del movimento dell’economia civile. Tutt’altro, perché «la vera gratuità non è “fai e poi dimentica”: questo è menefreghismo. La vera gratuità è: “fai e crea legami, relazioni, reti».
Bruni ha proseguito sottolineando quanto, con la crisi del Covid-19 e l’isolamento forzato, l’economia e il mercato’ ne sono usciti ridimensionati. “Si è toccato con mano che l’economia è importantissima perché serve per vivere, ma non è fine a se stessa secondo un modello dominante. Abbiamo capito piuttosto quanto gli uomini possono essere capaci di grandi gesti e comportamenti come quello di stare fermi per la salute collettiva”.
L’economista ha poi avvertito il pericolo che si cela dietro al fatto che un linguaggio molto simbolico e forte come “il dono di sé, la vocazione, il sacrificio e la sacralità” sia stato fatto proprio dal mondo del lavoro e del business, soprattutto da quello che risponde a logiche di management aziendale tipicamente anglosassoni, sempre più diffuse anche nella media
impresa italiana. “Questa economia liquida chiede dedizione totale e tende ad assorbire tutte le energie, anche etiche, dei lavoratori e dipendenti; chiede tutto, simbolicamente chiede l’anima, perché è di tutto che ha bisogno. Così, terminato il lavoro, non si ha più lo spazio per il dono pubblico. L’azienda arriva ad organizzare anche il volontariato, aziendale, attratta dal dono come si è attratti da un tabù. Ma così la gratuità non funziona perché è tale solo se è libera”.
Il volontariato oggi è maturo per dimostrare che un’economia del dono è sempre più necessaria affinché l’economia tutta sia imperniata sull’uomo e non sulle retoriche del management. Per questo il volontariato è un traino laddove sa mostrare che la vera gratuità genera legami.
È davvero importante – ha continuato Bruni, che ha acceso grande attenzione tra i molti che hanno seguito la diretta- che quella grande riserva di senso che è il volontariato non si faccia risucchiare dalle logiche dei “bravi ragazzi”. Non servono buone intenzioni, servono buone pratiche mosse da buone visioni. «Spesso», ha concluso il professor Luigino Bruni, «assumiamo del volontariato una visione “fordista”: quando il lavoro lasciava a tutti del tempo libero, allora si ricorreva al volontariato.
Questa visione va abbandonata: la gratuità non è “il tempo che resta” quando abbiamo spazi da occupare. Gratuità è capacità di innescare processi». Esattamente quello che il volontariato può portare anche all’interno di una rinnovata cultura d’impresa: una responsabilità sociale che, per essere tale, deve interconnettersi con il tutto. E generare processi, legami, attenzione all’altro e alle sue differenze.