L’Annuario italiano dei diritti umani 2020 (scarica qui), decima edizione di una serie iniziata nel 2011, offre dati aggiornati su come l’Italia opera nell’adattare la propria legislazione e le proprie politiche agli obblighi derivanti dal diritto internazionale dei diritti umani. E’ curato dal Centro diritti umani dell’Università di Padova Antonio Papisca, con l’obiettivo di favorire un dibattito informato e trasparente su questo fondamentale aspetto della vita pubblica.
Sono censiti i più significativi atti realizzati dalle istituzioni nazionali e locali, a livello interno e internazionale, le iniziative delle organizzazioni di società civile, i corsi universitari, la giurisprudenza italiana e internazionale. Ampio spazio è dedicato alle raccomandazioni che gli organismi sui diritti umani di Nazioni Unite, Consiglio d’Europa, Unione Europea, OSCE hanno indirizzato all’Italia nel corso del 2019.
L’annuario 2020 è stato illustrato al convegno “Parlare di diritti umani in Italia”, evento di metà settimana di Solidaria, il festival della solidarietà (vedi qui la registrazione). Alla presentazione sono intervenuti Gabriella Salviulo, direttrice del Centro di Ateneo per i Diritti umani Antonio Papisca insieme ai ricercatori del Centro Paolo De Stefani, Pietro De Perini e Ino Kehrer. Ospite Giuseppe Giulietti, presidente della Federazione nazionale della stampa italiana.
L’Introduzione dell’Annuario 2020 è dedicata a «L’Italia e i diritti umani nel 2019: ritrovata la bussola?». Emerge un
“senso di una ritrovata sintonia – nella sostanza e forse ancora più significativamente nelle «forme» della comunicazione istituzionale – tra le istanze di governo italiano e gli organismi internazionali sui diritti umani sostenuti da organizzazioni e procedure giuridiche internazionali”
Ciò che permane è una certa opacità nel fornire informazioni di risposta alle domande espresse dalla comunità internazionale, dove
“le oggettive difficoltà e i ritardi strutturali nel dare attuazione ad alcune specifiche richieste faticano ad essere riconosciute per quel che sono – appunto delle strutturali difficoltà, per il cui superamento potrebbe essere opportuno chiedere uno specifico intervento delle istituzioni internazionali”.
In questo senso non aiuta il fatto che della creazione di una istituzione nazionale per i diritti umani se ne parli da anni, indicandola per ‘imminente’ senza mai arrivare ad istituirla.
L’Annuario indica esplicitamente alle istituzioni italiane una strada da seguire per ottenere dei risultati strategici, che metta cioè assieme diagnosi, prognosi e terapia. Il nostro Paese dovrebbe iniziare ad affrontare con sistematicità i principali richiami formulati dagli organismi internazionali che hanno il ruolo di monitorare, prevenire e accertare le violazioni dei diritti umani, a partire da quelli che operano nel quadro del Consiglio d’Europa.
In questo senso il capitolo Agendaitaliana dei diritti umani, proposta nelle pagine centrali dell’annuario, si candida ad essere una sorta di ‘compendio’ per avviare politiche complessive. Invece
“i diritti fondamentali della fascia più precaria della popolazione versano insomma in una condizione, a loro volta, di precarietà.
L’appello ai diritti fondamentali è essenziale in particolare per i soggetti più esposti alle vulnerabilità, i più precari e meno integrati, ai quali beni essenziali e status vitali dovrebbero essere assicurati nella forma più precisa possibile, e non attribuiti o sottratti secondo logiche del tutto imprevedibili e quindi profondamente arbitrarie. Ci si riferisce a temi come quelli del sostegno assistenziale minimo, del permesso di soggiorno per i migranti, dell’accesso a servizi di base come l’alloggio o l’istruzione e anche al riconoscimento di cittadinanza per i giovani nati o ampiamente scolarizzati in Italia. Tutte questioni fondamentali nella prospettiva esistenziale degli individui e delle famiglie che lottano per avervi accesso ed esercitarli, si tratti di immigrati, persone con disabilità, bambini o gruppi rom; che risultano però oggetto di complesse e destabilizzanti novellazioni e cambiamenti di marcia decisi ai vari livelli istituzionali”.
L’approfondimento tematico di questa edizione è dedicato all’analisi del comportamento dell’Italia in relazione al terzo ciclo di Esame periodico universale (Universal Periodic Review – UPR) presso il Consiglio diritti umani delle Nazioni Unite, condotto nel novembre 2019, dopo quelli del 2010 e del 2014.
Il terzo UPR dell’Italia si è distinto per due aspetti peculiari. Il primo riguarda la rilevanza complessiva che l’avvenimento ha ottenuto a Ginevra. Si sono iscritte a parlare 121 delegazioni governative che rappresenta un numero di partecipazione tra i più elevati dall’attivazione nl 2008 di questo meccanismo di monitoraggio. Il secondo aspetto rilevante sono il numero di raccomandazioni ricevute: 306, con un aumento esponenziale rispetto alle 157 del 2010 e alle 186 del secondo ciclo, quello del 2014.
Ciò che emerge dai dati riportati nell’Annuario è che le raccomandazioni più frequenti rivolte all’Italia dalla comunità internazionale (sia in termini assoluti, sia in percentuale sul totale di raccomandazioni ricevute) riguardano la necessità di contrastare ogni forma di discriminazione razziale e di tutelare i diritti di migranti, rifugiati e richiedenti asilo. Infatti
“le 306 raccomandazioni ricevute dall’Italia durante il «dialogo interattivo» hanno riguardato 22 diverse questioni relative ai diritti umani. Tuttavia, oltre la metà di esse è concentrata in quattro aree tematiche, vale a dire: discriminazione razziale (15,4%); istituzioni nazionali per i diritti umani (15%); diritti di migranti, rifugiati e richiedenti asilo (14,1%); diritti delle donne, uguaglianza di genere, violenza contro le donne (10,5%).
Per ognuna di queste famiglie di macro-raccomandazioni vengono fatte alcune considerazioni. Il primo capitolo di raccomandazioni è dunque riferito alla necessità di contrastare ogni forma di discriminazione razziale e di tutelare i diritti di migranti, rifugiati e richiedenti asilo. Per la comunità internazionale, dunque,
“questi problemi non sono contingenti (al netto dei «decreti sicurezza» adottati dal Governo Conte I nel 2018 e 2019), ma rappresentano, piuttosto, le principali sfide strutturali per il sistema nazionale di protezione dei diritti umani. Almeno negli ultimi dieci anni, infatti, l’Italia è stata costantemente chiamata ad adottare ulteriori e più incisive azioni soprattutto per contrastare la diffusione del discorso d’odio nella sfera pubblica, le forme amministrative di discriminazione, la violazione del principio di non-respingimento, nonché per migliorare le condizioni di vita nei centri di accoglienza per i migranti”.
Da notare che l’annuario consente una lettura incrociata fra le ‘raccomandazioni’ e l’attività governativa e parlamentare. In particolare il capitolo II illustra i progetti di legge in materia di diritti umani presentati in Parlamento, organizzati in 12 categorie che fanno riferimento ai principali strumenti giuridici adottati dalle Nazioni Unite in ambito diritti umani. Da questa analisi si evince che
“sebbene l’invito a contrastare ogni forma di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e discorsi d’odio e di intolleranza sia la tipologia di raccomandazione più ricorrente tra quelle formulate nei confronti dell’Italia nell’ambito dell’Esame periodico universale del Consiglio diritti umani delle Nazioni Unite, soltanto l’1% circa dei disegni di legge presentati in Parlamento nel 2019 affrontano tale argomento”.
Tornando al capitolo ‘raccomandazioni’, l’annuario attira l’attenzione sul fatto che l’argomento istituzioni nazionali per i diritti umani stia ricevendo una sottolineatura crescente, dovuta in particolare sulla mancata creazione di istituzioni nazionali indipendenti, in linea con i Principi di Parigi del 1991, divenuti nel 1993 Risoluzione ONU sullo status e il funzionamento delle istituzioni nazionali per la protezione e la promozione dei diritti umani.
“La mancanza di queste istituzioni in Italia, un problema ben noto e già ampiamente discusso nelle pagine delle precedenti edizioni dell’Annuario (vedi in particolare Annuario 2017, pp. XV-XIX), risulta essere, in maniera sempre più consistente, causa di profonda preoccupazione da parte della comunità internazionale: il numero di raccomandazioni su questo tema è quasi triplicato negli ultimi dieci anni, da 16 nel 2010 (il 10% delle raccomandazioni totali ricevute nel primo ciclo UPR) a 46 nel 2019 (15%)”.
Il quarto macro-tema su cui si sono concentrate le ‘raccomandazioni’ riguarda la tutela dei diritti delle donne e il contrasto ad ogni forma di violenza (istigazione all’odio, stalking, violenza domestica ecc.). In questo caso, andando a leggere il II capitolo riportato nell’Annuario – quello sull’attività legislativa relativa ai temi dei diritti umani), veniamo a sapere che in Italia in
“sintonia con l’Obiettivo 5 (raggiungere l’uguaglianza di genere, per l’empowerment di tutte le donne e le ragazze), circa un terzo dei progetti di legge attiene alla promozione della parità di genere e delle pari opportunità tra donna e uomo, con particolare riferimento al superamento del divario retributivo e all’equa rappresentanza nei seguenti ambiti: organi di amministrazione e controllo delle società quotate in mercati regolamentati, magistratura, organismi istituzionali, sport professionistico. Inoltre sei progetti fanno riferimento a misure a sostegno della partecipazione delle donne al mercato del lavoro; due riguardano il tema della sicurezza sociale (intesa soprattutto sotto forma di trattamenti pensionistici e sostegno al reddito); infine un progetto dispone la redazione del bilancio di genere da parte degli enti territoriali”.
Se questo elenco di progetti di legge segnala un crescente interesse del Parlamento verso il tema, in sintonia con molte richieste che arrivano da associazioni culturali e di volontariato e dall’opinione pubblica in generale, bisogna annotare che un solo dispositivo fra questi è stato approvato in via definitiva dal parlamento. E’ la legge 69/19 ‘Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere.
Più in generale, nonostante i passi avanti che il nostro Paese deve compiere a tutela dei diritti umani, lo studio dimostra come la concezione sostanzialmente positiva del ruolo e della percezione internazionale dell’Italia siano state complessivamente mantenute. Urge ora portare definitivamente sul piano nazionale ed internazionale, l’impegno effettivo per la promozione e protezione dei diritti umani.
In questo senso è prezioso il capitolo Agenda italiana dei diritti umani 2020, una sorta di road map che aggiorna di anno in anno sulle cose da fare per mettere l’Italia al passo con gli adempimenti normativi, infrastrutturali e di politiche pubbliche che le istituzioni internazionali considerano necessari per un’effettiva promozione e protezione dei diritti umani a livello nazionale.