In data 29 maggio è uscita ne Il Mattino di Padova una intervista di Cristiano Cadoni al presidente del CSV Padova Emanuele Alecci.
Riportiamo l’intervista come utile contributo al percorso “Ripensiamo insieme l’Italia”.
«La capitale del volontariato è questa, ce l’abbiamo davanti. Sono questi mesi di lavoro in emergenza, più di 1.600 volontari che hanno dato disponibilità, gli enti del terzo settore che non si sono mai fermati e hanno tenuto insieme il Paese». E certo, non era quello che tutti immaginavano quando il 7 febbraio il presidente della Repubblica Mattarella era venuto a tagliare idealmente il nastro di un anno che doveva essere ricco di eventi. Ma Emanuele Alecci, presidente del Centro servizi volontariato, trova il buono che c’è e il buono che può esserci. «Abbiamo fatto un gran lavoro, ma ora abbiamo davanti due grandi sfide: conservare questa mobilitazione, difenderne l’entusiasmo e la disponibilità. E ripartire immaginando un nuovo modello di crescita e di sviluppo, per la città e per la provincia. Credo che sia ora di aprire un confronto serio, perché nulla può più essere come prima. E a questo tavolo il volontariato deve starci da protagonista».
Facciamo un bilancio di questi primi cinque mesi da capitale?
«L’inaugurazione con Mattarella è stata bellissima e fortunata. Poi abbiamo vissuto una catastrofe planetaria. Ma quando succedono queste cose, è un’occasione per ricominciare. Nella sfortuna, nel dolore per tanti morti, abbiamo capito che il volontariato è l’uscita di sicurezza. Crisanti ci ha salvato dal punto di vista sanitario, ma c’è un altro modello-Padova di cui si parla poco ed è proprio il volontariato. In tutta Italia c’è stata mobilitazione, ma qui di più. Gente che non si era mai incontrata e che non aveva mai dato disponibilità ha alzato la mano e nell’aiutare gli altri ha conosciuto difficoltà, povertà. Per loro è stata un’esperienza che lascia il segno».
Colpisce il fatto che mondi distanti si siano ritrovati fianco a fianco. Com’è stato possibile?
«Quando ci si mette insieme si fanno cose straordinarie. È stato fondamentale unire il volontariato, la chiesa, il Comune. Anche mondi con fedi diverse hanno trovato la sintesi nel servizio».
Non è una cosa che succede normalmente…
«C’è una quotidianità della solidarietà fatta dalle associazioni e dal terzo settore. Le prime, gratuitamente, fanno iniziative straordinarie. Il terzo settore, spesso senza sostegno, si carica sulle spalle un pezzo di welfare. E va ringraziato al pari della scienza e della sanità».
E poi c’è la parte straordinaria, appunto.
«Studenti, ragazzi, quarantenni, gente che non lavorava o che era in smart working, hanno risposto in modo incredibile all’appello – già di per sé inconsueto – fatto da me, dal sindaco e dal vescovo. In nessun’altra città c’è stata una risposta così forte. Così siamo stati contagiosi, il buon esempio si è allargato a tutta la provincia».
Si può dire che ci fosse già un terreno pronto?
«Padova è sempre stata pronta. Ma stavolta è stata anche tempestiva. Il Comune annunciava e faceva allo stesso tempo. Ricordo riunioni di domenica mattina con il sindaco e con la Caritas. Quando Conte ha annunciato i buoni spesa, noi sapevamo già come stamparli».
Non era precisamente il programma dell’anno da capitale europea…
«La macchina era pronta, il rodaggio l’abbiamo saltato, ci siamo messi in strada senza prove. Ma lo spontaneismo, per quanto ammirevole, va organizzato. A volte succede che prima ci si muove e poi ci si dà una struttura, come è stato per i terremoti e per la protezione civile che è nata sul campo. La magia, per noi, è stata avere un coordinamento così ben strutturato. Tutti hanno fatto un passo indietro per farne tre avanti insieme».
E adesso come si difende questo patrimonio?
«È una bella domanda, anche perché rimette in discussione ore di dibattiti sull’assenza dei giovani e sul volontariato liquido. La realtà è che i giovani si sono fatti avanti e hanno anche accettato regole, anche perché mai come in questa situazione erano necessarie. Stiamo pensando a modalità nuove, partendo da un punto fermo: il volontariato a volte, in emergenza, fa cose che non sono di sua competenza. Ma poi deve tornare a fare il suo, senza sostituirsi al pubblico e ai lavoratori».
L’azione del volontariato semmai dovrebbe sollecitare una risposta più efficace del pubblico.
«Le istituzioni, a emergenza finita, devono riprendersi i compiti che hanno dovuto trascurare. E tutti insieme dobbiamo pensare a qualcosa di diverso per il futuro, perché la città non può più essere quella che avevamo in mente qualche mese fa. Ci sono scelte di sviluppo da fare, il volontariato vuole dire la sua. E non può essere una riflessione che si ferma ai confini della città, bisogna che si estende a tutta l’area metropolitana».
Cosa si può fare?
«Mi piacerebbe che la Camera di Commercio, sempre molto attenta alle difficoltà dei soggetti economici, si facesse promotrice di un ragionamento più alto in cui tutte le amministrazioni possano trovare un luogo per discutere e fare scelte strategiche. Il volontariato e il terzo settore possono fare una parte importante per una grande alleanza economica e sociale».
Però siamo già in fase 2 avanzata e pare che un confronto di questo tipo non sia avvertito come urgente.
«Smettiamo di preoccuparci di chi propone. Facciamo tutti un passo indietro e se arriva una proposta sensata, valutiamola e lavoriamoci. L’obiettivo deve essere costruire il futuro della nostra provincia. Sennò si torna al punto di prima, il volontariato riprende a fare le sue cose, i poveri saranno più poveri e via così».
Torniamo alla mobilitazione. Dal volontariato liquido, non strutturato, si è passati a un volontariato di prossimità, di quartiere, che ha funzionato bene.
«Vero, ed era uno dei progetti dell’anno da capitale. Perciò abbiamo geolocalizzato tutti, l’idea era ricreare piccoli borghi, un volontariato di prossimità. Ha funzionato, lo studieremo, vogliamo investire tempo e risorse per difendere questa mobilitazione di cui la città avrà ancora bisogno. Ma come forza autonoma, non a disposizione del Comune. Si collabora, ma mantenendo ognuno il suo ruolo».
Mi dice cosa pensa degli assistenti civici? Qualcuno li ha accostati ai volontari.
«Non scherziamo, la parola volontario è sacra. Comunque è un’idea che non mi piace, si poteva coinvolgere il servizio civile, ampliandone il bacino. Ma non parliamo di volontariato».
È pensabile che l’anno di Padova capitale si prolunghi per un pezzo del 2021?
«Saremo capitale per sempre. Ma formalmente nulla cambierà, a dicembre il testimone passerà a Berlino. Però noi potremo recuperare qualche iniziativa nei primi mesi dell’anno prossimo».
Come immagina la chiusura di quest’anno?
«Come un grande evento europeo. Ci stiamo già lavorando, vorrei portare in città tutti i leader europei, a parlare di Europa e solidarietà. Anche la Merkel, magari, visto che ultimamente fra Italia e Germania non c’è stata grande sintonia. Può essere l’occasione per rinsaldare i rapporti, il volontariato stavolta può fare da ponte».
Intanto il programma dell’anno resta tutto da reinventare.
«Faremo molte delle cose previste, anche se in tono minore. Niente grandi eventi, ma qualcosa sì. Una serata al Castello, sicuramente Solidaria e tante iniziative culturali».