Domenico De Simone ha introdotto e moderato l’incontro per ricordare Luciano Tavazza, testimone di solidarietà e giustizia, organizzato in collaborazione con l’associazione Luciano Tavazza: “Il volontariato, i suoi saperi, le sue pratiche molteplici diventano Politica, quando la libertà dall’immaginare progettualità si coniuga con la caparbietà di sperimentarle nel territorio”. Così il volontariato diventa protagonista del nuovo futuro.
Il seminario Rimettere al mondo il mondo si svolge il 30 aprile a conclusione dell’evento finale di Padova Capitale europea del volontariato 2020, esattamente a 21 anni dalla scomparsa di Luciano Tavazza.
De Simone, che presiede l’associazione dedicata al fondatore del MoVI, ha esordito illustrando i 3 punti qualificanti del Testamento spirituale di Tavazza, dettato alla moglie una settimana prima di morire, recentemente raccolti in una pubblicazione dall’emblematico titolo “Dalla terra promessa alla terra permessa” e che sono il filo conduttore che ha dato vita alla nascita dell’associazione stessa.
Il titolo della pubblicazione è evocativo e racchiude l’itinerario dei cammini di formazione e ricerca che l’associazione intende percorrere per disseminare il pensiero di Luciano, un cercatore di arcobaleni, le cui intenzioni ci possono ancora dire tanto ed accompagnarci in questo tempo di transizione verso un futuro da costruire insieme.
Questi 3 punti sono: riscoprire il ruolo della chiesa nel mondo come costruttrice di giustizia e esempio di accoglienza. La dimensione etica, cioè una riscoperta dell’etica nel volontariato nella società; un’etica alta, vigorosa, guida e orientamento in tutte le dimensioni della vita personale e sociale. Terzo, la scelta educativa, ossia un forte impegno per la formazione dei cittadini volontari secondo un modello che accorda la persona nella sua unicità, unitarietà, nella cura dei legami con gli altri nel rispetto e nella custodia dell’ambiente che lo circonda; formazione di uomini e donne solidali nel rispetto dei valori della cittadinanza, giustizia e del dono come principio di solidarietà.
Non c’è futuro senza memoria cosi come la progettualità senza memoria finisce con l’essere un’utopia difficilmente realizzabile. Luciano Tavazza ci ha insegnato perciò a coniugare costantemente memoria e progettualità perché senza un’illuminata coscienza dell’ora presente la stessa azione volontaria può declinare in semplicismo, banalizzazione e atemporalità.
Perché siamo a Padova? Io definisco Padova città laboratorio di innovazione sociale. Il Veneto e Padova, in particolare sede della fondazione Zancan, hanno costituito l’enclave laboratoriale strategico di quello che vorremmo si continuasse a definire volontariato adulto, a vocazione comunitaria. […] In particolare l’edizione dell’ultimo biennio di Solidaria che il CSV di Padova ha messo in cantiere è stata una fucina di pensiero che ha reso possibile l’idea di rivalorizzare e rilanciare la carta etica dei volontari, che fu l’ultima fatica dell’impegno di Luciano.
Il professor Nicolò Lipari, emerito di istituzioni di diritto privato dell’università la Sapienza di Roma, ha ricordando Luciano Tavazza come testimone di solidarietà e giustizia tracciando un breve profilo biografico a partir dall’incontro avvenuto agli inizi degli anni ’70 quando Tavazza ebbe in carico dalla fondazione Agnelli di svolgere una ricerca sul volontariato, affidatagli in quanto uno dei pochi che si occupava di questa problematica ancora poco avvertita e comunque nascente in Italia.
Ricordo Luciano per la passione con cui svolgeva le proprie attività […] quello che colpiva di lui era questa passione per un mondo di cui prima degli altri ha avvertito l’importanza. La società italiana ha capito progressivamente l’importanza del volontariato e c’è voluto molto per far capire che ci poteva essere un mondo che non era né direttamente implicato nelle attività istituzionali né al mercato. Il cosiddetto terzo settore è appunto tutto quel mondo, di cui il volontariato è la parte più rappresentativa e significativa che non è né istituzione, né stato, né mercato.
Tavazza ha insegnato a questo paese la doverosità del gratuito, cioè ha fatto intendere che non si può essere autenticamente cittadini, non si può realizzare completamente la propria missione all’interno della società senza in qualche modo avere all’interno della propria esperienza una misura di gratuità.
Il seminario è proseguito con i contributi di Renato Frisanco, vicepresidente dell’associazione Tavazza, e di Ugo Morelli, professore di scienze cognitive applicata dell’Università Federico II di Napoli, sul volontariato come protagonista del nuovo millennio.
Frisanco ha sviluppato alcune importanti riflessioni contenute in un e-book recentemente pubblicato e scaricabile dal sito dell’associazione Luciano Tavazza intitolato “il volontariato del nuovo millennio tra crisi e cambiamento”; ha affrontato gli aspetti di crisi e di cambiamento e indicato alcuni obiettivi di lavoro per un volontariato che voglia guardare al futuro recuperando il suo protagonismo.
C’è in atto un rinnovamento del mondo del volontariato che riguarda i suoi scopi, ma anche la dimensione territoriale: esso deve essere sempre più una risorsa di comunità e dare il proprio contributo anche travalicando l’azione specialistica.
La pandemia ha insegnato al volontariato a lavorare in rete, a mettersi a disposizione, a coinvolgere sempre più i giovani, dobbiamo continuare in questo cammino.
Questo periodo ha imposto dei cambiamenti nel modo di essere cittadini e solidali. In questo contesto il volontariato è una testimonianza al fare. Dobbiamo aiutare i cittadini a passare dalla gratuità del doveroso, e cioè ‘mi ritaglio spazi di tempo per aiutare gli altri’, alla doverosità del gratuito, ‘lo faccio con spirito di gratuità’. Il primo cambiamento del volontariato deve essere quello di aiutare la società a diventare più civile.La sfida del futuro è anche quella di ritrovare lo spirito delle origini: il volontariato oggi è chiamato a fare la sua parte, ma può farlo se ritrova la sua identità e la sua autonomia, minacciate dall’interno e dall’esterno negli ultimi 20 anni. Bisogna uscire da logiche di ingresso nel mercato sociale dei servizi o in concorrenza con altre realtà del terzo settore. Vorremmo per il futuro che si riprendesse il concetto della legge 266 di ‘opera a esclusivo fine di solidarietà’. In questo senso il volontariato può rappresentare meglio i bisogni dei cittadini e intervenire dove c’è bisogno. E facendo questo svolge la migliore delle funzioni di advocacy che le appartiene.
Morelli ha esordito riprendendo la visione di Frisanco, facendo propria come punto di partenza l’importanza del pensiero alla base dell’innovazione dell’azione volontaria e del volontariato.
E’ chiaro che c’è bisogno di lavorare per far riconoscere la straordinaria potenza dell’azione volontaria nell’esperienza umana e l’esperienza di essere intersoggettivi, di vedere e riconoscere nell’altro l’altra metà del proprio cielo. Senza l’altro non siamo nessuno e non riusciamo neanche a definirci. Ma abbiamo bisogno di irrobustire questa prospettiva del pensiero anche con la ricerca.
Esperimenti di scienza cognitiva dimostrano che gli esseri umani non sono per natura egoisti. Per questo ritengo che non si tratti più di giustificare ma di affermare la rilevanza del dono, la rilevanza della reciprocità, dell’intersoggettività umana come fondazione della soggettività […] e quindi l’orientamento alla cooperazione gratuita cioè alla gratificazione derivante dal dono.
Non esiste una società che possa minimamente funzionare, non esiste una dimensione di comunità che possa minimamente funzionare che non riconosca qualcosa che c’è già. Il problema non è inventare qualcosa… è riconoscere che funzioniamo in ragione del dono, funzioniamo in ragione della fiducia reciproca, funzioniamo in ragione della solidarietà.
In sintesi penso che i processi di innovazione del volontariato del futuro debbano lavorare su due ambiti: la ricerca per irrobustire e evidenziare la specificità distintiva di noi umani come esseri votati all’azione volontaria. Contemporaneamente l’azione volontaria e la motivazione possono non bastare se non trovano forme organizzative appropriate a quel tipo di azione, se vogliamo che quell’azione sia capace di consolidarsi nel tempo e soprattutto sia capace di praticare innovazione e quindi di evolversi e farsi riconoscere e quindi di affermarsi.
Rivedi il seminario su Luciano Tavazza: