È la prima volta, dal secondo dopoguerra, che l’Occidente si trova impegnato in una battaglia contro una pandemia difficile da debellare. Malattie decisamente più letali, come quelle per esempio che colpiscono periodicamente l’Africa, non terrorizzano Europa e Stati Uniti perché gli scambi con questo territorio sono abbastanza limitati e altresì perché la rapidità con cui gli agenti patogeni causano la morte limitano le loro possibilità di diffusione.
In questo caso, invece, abbiamo a che fare con un virus non troppo veloce nel causare i propri effetti nocivi e neppure drasticamente letale, che dunque può contare sulla possibilità di diffondersi senza troppi intoppi. Noi occidentali non siamo abituati a dover fare i conti con un imprevisto così importante. La società è organizzata sulle nostre agende fitte di impegni da rispettare, basate sull’attendibilità di tutti e quando qualcosa non funziona a dovere ci apprestiamo a capire come ottimizzare la produzione delle risposte attese. La rapidità con cui tutto il mondo si sta occidentalizzando, come dimostra proprio la Cina, è altresì alla base di quel fenomeno tipico del nostro tempo chiamato “globalizzazione”, per cui non esiste più niente di “lontano”, e non solo grazie alla comunicazione informatica, ma specialmente per il suo prodotto principale, ovvero quello di rendere possibile viaggiare in modo sempre più veloce. Ebbene, il Covid-19 comincia a farci sapere che ci sono degli effetti collaterali rispetto al movimento delle persone, legati al loro stato di salute. Se pensiamo all’esplosione negli ultimi 20 anni del numero degli spostamenti in tutto il mondo con treni ed aerei usati tanto per lavoro quanto per diletto, possiamo certamente dire che fino ad ora è andata bene e che forse ci potevamo anche aspettare un evento come questo. L’incertezza che stiamo sperimentando mette semplicemente a nudo il fatto che siamo in una fase di passaggio storicamente importante, consistente nella trasformazione progressiva e inarrestabile del pianeta in senso tecnologico. Possiamo dire che la “Cina ci è vicina” proprio perché ormai ci separano da questo spettacolare paese solo una manciata di ore vissute comodamente su un aereo che può causarci come unico problema un po’ di noia. Se la tecnica è la predisposizione di mezzi scientificamente predisposti per il perseguimento di obiettivi, possiamo quindi dire che la tecnologizzazione del mondo ci sta abituando a vivere in una realtà sempre più prevedibile dove però ciò che ancora risulta imprevedibile è la natura, la quale, quando torna a comparire con le proprie leggi trovandoci impreparati, ci lascia sconcertati e terrorizzati. Certamente, dobbiamo prendere molto sul serio il fatto che comunque abitiamo un mondo che non è ancora del tutto svincolato dalle leggi di questa madre tanto sublime quanto impietosa, e dobbiamo sapere che la sua capacità di inventare nuove espressioni di dominio sui nostri affanni quotidiani ha una funzione che gli antichi greci consideravano sempre pedagogica: quella di insegnarci a riconoscere i nostri limiti. So che dire questo può sgomentare il lettore, ma tutto sommato, in questi giorni di apprensione, per non dire di angoscia, in cui dobbiamo gestire un ritiro forzato, in verità abbiamo tempo per entrare in contatto più in profondità con noi stessi invece che con le nostre agende. Sono certa che dopo questa pausa forzata esploderà un periodo di creatività e di innovazione formidabile, dovuto proprio al dover vivere un tempo non modellato sulla base della produttività prevedibile che il mondo tecnologico ci impone. E forse il prossimo anno potremo brindare per nuove scoperte, grandi invenzioni, e molto probabilmente anche perché l’indice italiano di natalità tornerà ad avere un segno positivo.Direi quindi di godere di questo momento coltivando le proprie arti e le proprie passioni, cercando di fidarsi del fatto che il mondo produttivo che abbiamo costruito è in grado di reggere a questa sfida e che dunque ognuno di noi è chiamato responsabilmente a fare la cosa più semplice che conviene fare: stare a casa e tornare all’intimità della vicinanza con sé stessi. E se improvvisamene ci rendiamo conto di essere sconosciuti a noi stessi, allora questa è l’occasione per cominciare un viaggio di scoperta interiore, che potrà continuare anche quando la tempesta sarà finita.
Ines Testoni è professoressa e direttrice del Master in Death Studies & The End of Life (Università di Padova).
Riconosciuta tra le 100 scienziate più importanti per i suoi studi sulla morte in Italia, è autrice di un centinaio di articoli e di una ventina di volumi, (Il suo ultimo libro è “Psicologia palliativa” – Bollati Boringhieri), è componente del tavolo bilaterale MIUR – Min. Salute per l’insegnamento di cure palliative nei corsi di laurea in Psicologia e dirige il progetto europeo “Death Education For Palliative Psychology”.